Quando ho sfogliato l’indice di Aziende in Gioco, non posso negarlo, sono rimasto tiepido.
La presenza di quattro titoli, con Scotland Yard in cima alla lista, mi ha fatto pensare che Marco Saponaro e Luca Borsa stessero semplicemente proponendo una raccolta di giochi classici, pensata per chi ha conosciuto finora solo Monopoli e Cluedo.
Temevo il solito elogio dei benefici del gioco da tavolo, ma niente di più.
Mi sbagliavo.
E di tanto.
In realtà, letta anche un po’ di biografia degli autori, era chiaro che ci fosse più carne al fuoco.
Marco Saponaro è un professionista nel progettare workshop e Luca Borsa è un autore di giochi da tavolo che chi segue il blog conoscerà sicuramente (davvero spassoso Pakal).
L’editore è invece Unicopli che ha inserito questo titolo all’interno di una collana, InGioco, a cura di Emiliano Sciarra (un altro nome che dovrebbe ricordarvi qualcosa).
Tutti gli argomenti trattati
Autori
M.Saponaro, L.Borsa
Editore
Unicopli
Pagine
206 15×21 cm
Costo
19€ circa
Il vostro Affezionatissimo e la formazione aziendale
Chi vi scrive è uno che di formazione ne ha fatta parecchia. In altre parole, sono sempre stato immerso in questo mondo, sia come destinatario che come appassionato raccoglitore di feedback e spunti di miglioramento.
Il vostro caro ha anche insegnato per un discreto lasso di tempi, ma ormai si parla di una vita fa.
Insomma, sono uno che nella formazione continua, direbbe qualcuno, ci crede.
L’Università non forma professionisti
In molti sono propensi a pensare che l’Università, o la scuola in senso lato, formi i lavoratori di domani.
A prescindere che sarebbe veramente triste relegare l’Istruzione a questo mero fine utilitaristico, non è esattamente così.
Come il prof. Buongiorno affermò ad un corso, “la laurea è un titolo culturale, non professionale“.
In parole semplici, un laureato in ingegneria porta con sé un bagaglio di conoscenze, magari vasto e forse un po’ caotico, ma solamente orientato a svolgere il mestiere per cui si è preparato.
Usando un termine ormai trito e ritrito, potremmo dire che l’università e tutto il percorso accademico sviluppano le famose hard skill.
Il problema, soprattutto per chi ha una formazione “razionale”, sono le soft skill.
I “tecnici” nascono come ruvidi lupi solitari ma sono saranno poco efficaci ed efficienti nella loro vita professionale, ma spesso anche quella “normale”, se non sviluppano, ad esempio, competenze di intelligenza emotiva.
Fra gli obiettivi dei workshop proposti da Aziende in Gioco c’è proprio quello di colmare questo gap.
Un manuale estremamente pratico
A dispetto della mia prima superficiale impressione, Aziende in Gioco è un libro altamente strutturato e concreto.
Escludendo un po’ di introduzione e la chiosa finale, comunque utilissimi, il cuore del libro è suddiviso in 4 capitoli dove sono illustrati in maniera metodica altrettanti workshop.
Per essere anche qui concreti nel presentare il libro, facciamo l’esempio del primo gioco: Scotland Yard.
Gli autori, grazie al cielo, non si dilungano più di tanto nel regolamento, che si suppone noto o facilmente reperibile.
Si concentrano invece sugli aspetti che Scotland Yard mette in gioco, come l’immaginazione visiva. Ci si spinge anche a illustrare quali parti del cervello attiva e quali sensazioni la loro attivazione comporta (ansia, delusione, soddisfazione…)
Ora sembra quasi un trattato di neuroscienze messa così.
Passo passo come gestire il workshop
Aziende in gioco si dimostra decisamente più pratico suggerendo domande di debriefing, divise in paragrafi a seconda di cosa il facilitatore, il master, voglia fare emergere.
In generale i giocatori sono invitati a fare parallelismi fra l’esperienza appena avuta e la loro vita lavorativa quotidiana.
Un altro elemento di concretezza che gli autori offrono è una tabella operativa.
Per ogni fase dell’esperienza indica una domanda iniziale introduttiva e un obiettivo che quella fase deve raggiungere e quanto tempo dedicarci.
Sono poi illustrati possibili intoppi che possono avvenire durante l’esperienza e come gestirli.
Cosa c’entra il gioco con la vita aziendale?
Scotland Yard è un “uno contro molti”. Lasciando da parte il ruolo di Mister X, che nel libro viene comunque trattato in dettaglio, il cuore del gioco è un team che, con risorse limitate, deve pianificare mosse e attività per raggiungere un obiettivo comune e ben definito.
Beh, non è forse questa la gestione di un progetto?
In Aziende in Gioco è anche proposto un modo efficiente di tenere traccia delle risorse, che un libro di project management avrebbe impiegato pagine e pagine per illustrarlo.
Con la stessa efficacia è spiegato il concetto di comunicazione e come averne una in un modo efficace.
Infine si parla di team building, uno dei termini più abusati dell’industria 4.0 per buttarci dentro ogni cialtronata che il guru di turno professa.
Saponaro e Borsa, di nuovo, hanno qui un approccio estremamente concreto, parlando del Ciclo di Tuckman, uno sviluppo del team in cui molti si ritroveranno.
Tutti uguali, tutti diversi
A seconda dell’ambito lavorativo e a seconda delle abilità da sviluppare, un gioco proposto in Aziende in Gioco vi potrà sembrare più utile di un altro.
Il workshop incentrato su Pandemic mi è sembrato, ad esempio, molto attinente al mio contesto lavorativo.
Rispetto a Scotland Yard ogni giocatore ha un ruolo, una propria specializzazione che lo rende unico rispetto agli altri e più efficace in certe azioni rispetto ad altre.
Si verifica spesso, soprattutto in un progetto complesso, la necessità di costituire una team multidisciplinare.
Un membro del team è un professionista di alto livello nel suo campo, ma poco sa dell’ambito dei compagni di squadra, a cui si deve affidare e di cui si deve fidare (e Aziende in Gioco ci parla anche di fiducia e manipolazione).
Il progetto da portare a termine non è per forza legato al “costruire qualcosa”, ma può essere anche salvare un paziente che si è presentato al Pronto Soccorso.
In un ambiente nerd-tecnico di prime donne, con anche obiettivi nascosti personali, lavorare in team potrebbe essere un delirio.
Dall’improvvisazione al metodo
In queste situazione stabilire “chi fa cosa” e avere una chiara procedura comunicativa è fondamentale. Inoltre c’è la questione della leadership da gestire, ovvero come gestire una personalità emergente (o un giocatore alfa, diranno i gamers).
Ecco quindi che Aziende in Gioco, attraverso un processo che definirei di maieutica, ci parla di strumenti concreti come la matrice R.A.C.I e il ciclo di Deming.
Tutti concetti che se letti su un libro di project management sono indigesti come una peperonata alle 2 di notte o eterei come il sesso degli angeli.
Scendere in campo e sporcarsi le mani rende questi strumenti intuitivi e quasi banali.
Resistenza alla gamification e fuffa
In passato c’è stata poca attenzione alle soft skill, almeno nell’ambito lavorativo italiano. In seguito, più per un’operazione che oggi chiameremo di washing che non di genuina convinzione, un po’ dappertutto si sono iniziati a introdurre corsi di leadership e team building.
Chi lavora in azienda si sarà sicuramente trovato su una barca alla deriva a scegliere con i colleghi sventurati quali oggetti salvare da una lista.
Era già qualcosa, perché l’alternativa erano giornate di diapositive PowerPoint.
Ascolto e dimentico. Vedo e ricordo. Faccio e capisco
La verità, come riporta TeOoh! nella prefazione è che questa parte di formazione è stata per anni vista come superflua, se non inutile.
C’è difatti una scuola di pensiero che è convinta che abilità come la negoziazione siano innate e non si possano allenare.
Ecco quindi che queste opportunità di formazione si risolvono in una mezza giornata di libertà vigilata, insomma, dove è concesso allontanarsi dalla scrivania.
Un po’ ci si sono messi anche i formatori stessi, spesso presentandosi come guru e rifilando fuffa al pubblico.
La Programmazione NeuroLinguistica, ad esempio, viene spacciata come la Voce di Dune o trucchi Jedi, quando magari non è terrapiattismo ma nemmeno una scienza.
In conclusione
L’idea che concretezza e gioco da tavolo possano convivere come strumenti formativi o di assessment potrebbe sembrare un ossimoro.
Eppure, vi assicuro che è così.
I giochi presentati in Aziende in Gioco, come gli altri riportati nel libro, offrono ai partecipanti l’opportunità di immergersi direttamente nel contesto, “sporcarsi le mani” e apprendere attivamente.
Naturalmente, questo risultato non si ottiene in automatico: è necessaria la mediazione di un facilitatore.
Ed è proprio qui che l’opera di Saponaro e Borsa entra in gioco, fornendo a questa figura gli strumenti pratici di cui ha bisogno.
Oltre agli aspetti teorici e alle curiosità sui giochi stessi, il libro offre indicazioni pratiche come tempistiche e istruzioni dettagliate su come condurre un debriefing efficace.
Chi ha sempre visto il gioco da tavolo in azienda, e persino i serious games, con scetticismo, spesso ha puntato il dito sulla presunta mancanza di concretezza: “non siamo pagati per giocare“.
La formazione diventa quindi un’occasione per una vacanza o un passaggio formale per fare carriera.
Tertium non datur.
Eppure è un pre-concetto che le aziende dovrebbe abbondare.
L’apprendimento e il divertimento, come notava anche Brusa nel suo libro, sono stati spesso considerati ambiti separati e in conflitto tra loro.
Come nel nel caso di Giochi per imparare la Storia, abbiamo dimostrato che non è così.
Anzi.